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Le C del Brasile

Aggiornamento: 4 set 2017

Hanno reso il Brasile ricco e famoso nel mondo. Sono state scritte centinaia di pagine su di loro, noi ve ne diamo un piccolo assaggio, per meglio capire e gustare questo grande Paese, sono: il caffè, il cacao, il calcio, la capoeira, il condomblé, il carnevale e la cachaça.

Caffè

L’aroma del caffè ci arriva attraverso una leggenda etiope. Narra la storia che nei pressi di una città di nome Kaffa, dove tuttora la pianta cresce spontaneamente, nel III secolo d.C. un pastore si accorse delle proprietà di questo cespuglio grazie all’instancabilità del suo gregge di pecore che, cibandosi da un arbusto dai piccoli frutti rossi, continuavano a saltellare anche a notte inoltrata.

Il pastore portò a casa le piante e se ne cibò, ma sebbene provasse una forte energia, il sapore era così amaro che decise di bruciare i cespugli. Il forte odore e l’aroma attirarono moltissime persone tra le quali un gruppo di monaci che decise di raccogliere i

rossi frutti dalle ceneri e di farne un infuso. Le proprietà vennero così sfruttate dai religiosi che riuscivano a restare svegli durante le lunghe ore di preghiera e meditazione. La pianta divenne famosa e si propagò nei monasteri di tutto il mondo.

Anche se tanti credono che le origini della parola caffè derivi dalla città etiope pare che invece derivi dall’arabo antico kahwah o kahweh (forza). In Arabia e più precisamente nello Yemen si diffusero le prime coltivazioni da qui il nome della pianta Coffea Arabica. Gli Arabi furono anche i primi a consumarlo come infuso mentre i pastori abissini lo mangiavano o masticavano.

In Europa fu introdotto dal tedesco Leopardo Rauwolf e dal botanico italiano Prospero Alpini alla fine del 1500. Gli italiani pare che furono i primi a consumare largamente questa bevanda che si diffuse poi in tutta l’Europa.

I primi a coltivarla nelle colonie furono i Francesi che portarono le piante nelle Indie Occidentali, a Santo Domingo poi nelle Antille francesi, furono poi imitati dagli Olandesi che iniziarono le coltivazioni nel Suriname.

In Brasile l’introduzione avvenne nel 1727 grazie alla risoluzione di una disputa riguardante i confini tra la Guyana Francese e quella Olandese. Il mediatore di questa disputa, il sergente maggiore Francisco de Mello Palheta, fu invitato, al termine delle trattative, a visitare delle piantagioni di caffè nella Guyana Francese e grazie all’amicizia particolare con la moglie del proprietario riuscì ad impossessarsi di alcuni semi. Li piantò e da questa prima piantagione nacque la storia delle coltivazioni di uno dei maggiori produttori ed esportatori di caffè al mondo.

Ogni anno circa 28 milioni di sacchi, ogni sacco pesa 60 kg, vengono prodotti in Brasile e sono immessi sui mercati mondiali. Il record di produzione avvenne nel 1942 quando si raggiunse il maggior raccolto in assoluto, ben 42 milioni di sacchi.

Varie le qualità coltivate nel paese, le più apprezzate sono: l’Arabica dalla polpa verde e la Moka dalla polpa gialla, seguite dalla Bourbon Vermelho e dalla Caturra Amarelo.

La pianta ha una lavorazione semplicissima. Il piccolo frutto rosso, simile ad una ciliegia, viene raccolto ed essiccato al sole per ottenere l’estrazione del seme. I semi vengono quindi tostati in appositi forni e venduti sia interi che in polvere.

Le categorie sono: caffè gourmet (ottimo ed esclusivo, i semi provengono solo dalla qualità migliore, il costo è alto), caffè superiore (qualità buona dal costo medio-alto), caffè tradizionale (dalla qualità intermedia è di solito tra i più commercializzati grazie al prezzo accessibile).


Cacao

Il nome originario della pianta è Cacahuaquabitl e gli venne dato dalle civiltà pre-colombiane che già conoscevano le proprietà eccitanti del frutto.

I Maya e gli Atzechi consumavano la bevanda derivata dalla macinazione dei semi considerandola la bevanda degli dei. Il primo occidentale ad assaggiarla fu Hernán Cortez, il conquistatore spagnolo, al quale fu offerta in una coppa d’oro dal re atzeco Montezuma in persona. Il prodotto venne apprezzato e diffuso nel resto del mondo, soprattutto dopo che l’impasto amaro, venne mescolato con il miele. Pare che la prima produzione di cioccolata sia della ditta inglese Fry che nel 1847 misturò la polvere e il burro di cacao con lo zucchero, ottenendo la delizia che noi tutti conosciamo.

In Brasile venne introdotto nel 1746 da un colono francese che regalò i semi portati dal Parà all’amico Antonio Dias Ribeiro che li piantò nella sua fazenda chiamata Cubícolo (tuttora esistente) situata a sud di Salvador nello Stato di Bahia.

L’introduzione di questa coltivazione diede al Brasile notevoli ricchezze, ma anche momenti di grandi crisi economiche, soprattutto negli Stati del Nord e del Nordest che sono i più grandi coltivatori.

L’albero del cacao raggiunge al massimo i 10 mt, ma nella coltivazione viene mantenuto sui 5 mt per una raccolta più agevole. Non amando il contatto diretto con il sole viene generalmente lasciato all’ombra dei banani o dei manghi. La particolarità di questa pianta è che su di essa si trovano contemporaneamente gemme, foglie, fiori, frutti acerbi e frutti maturi. Ogni albero produce all’anno circa 15 frutti contenuti in baccelli chiamati cabosse lunghi circa 20 cm e contenenti dai 20 ai 60 semi ricoperti da una dolce gelatina.

La raccolta avviene due volte all’anno, anche se il secondo raccolto è di minore qualità, i semi vengono estratti con un coltello, macerati ed essicati per eliminare la gelatina. Per diventare il cioccolato che tutti adorano, deve essere tostato e quindi posto in sfere rotanti ad una temperatura di circa 120 gradi per 20 minuti, dopo di che verrà macinato. Presse spremono poi la pasta che contiene circa il 55% di burro di cacao. Dal residuo di questa spremitura si ottengono i panetti che triturati danno il famoso cacao in polvere.

Anche se il nome ci fa tornare alla mente solo cose dolci il cacao si è però macchiato anche di storie di sudore e lacrime, testimoniate anche dal bellissimo libro Cacao di J.Amado. Molte anche le storie di grandi ricchezze e di incredibili povertà che la piantagione di questo alberello ci racconta.

Le prime crisi alle coltivazione avvennero con l’abolizione della schiavitù nel 1888, che ridusse la manodopera, in seguito avvenne la grande crisi economica degli anni 30/40 che provocò l’abbandono delle coltivazioni.

Nel 1957, grazie a finanziamenti fatti alle fazendas per nuove tecnologie e infrastrutture, venne recuperata la lavorazione del cacao. Passarono 15 anni e la crisi venne superata, la produzione brasiliana raggiunse il 16% dell’intera produzione mondiale, per una produzione totale di 383 mila tonnellate.

Le disavventure per questa dolce piantina continuarono quando venne colpita da un terribile fungo chiamato “scopa della strega”, Vassoura-de-bruxa (Crinipellis perniciosa), che ridusse la produzione brasiliana del 40/50 %. Tutti i provvedimenti, adottati per debellare questa malattia risultarono costosissimi ed inefficaci tanto che tuttora il problema sussiste e il Brasile sta cercando ogni possibile soluzione per eliminare questa cattiva strega che sta distruggendo l’antichissimo cacao, come nella peggiore delle favole.


Calcio

Record dei cinque campionati mondiali vinti 1958/1962/1970/1994/2002.

Patria di fantastici e mitici giocatori, i brasiliani letteralmente impazziscono per questo sport e nel periodo dei mondiali, ovunque si vendono accessori di ogni genere con i colori della nazionale giallo e verde. Spille, cappelli, magliette, bracciali, nastri, accessori per capelli e persino i guinzagli per i cani.

In Brasile questo gioco fu introdotto nel 1894 da Charles Miller. Miller nacque nel barrio di Brás nella periferia di São Paulo e andò a studiare in Inghilterra all’età di nove anni, lì conobbe il gioco del calcio e al ritorno in Brasile, si portò in valigia una palla e il manuale delle regole del gioco. La prima partita di calcio fu realizzata il 15 aprile del 1895 tra i funzionari di un’impresa inglese che aveva sede a São Paulo.

Il gioco era praticato, agli inizi, solo dall’elite anche perché vigeva il divieto per la gente di colore di parteciparvi. Nel 1888 fu fondata la prima società, il São Paulo Athletic e nel 1902 fu giocato il primo campionato brasiliano.

Al Brasile è sicuramente riconosciuto di aver dato i natali a tanti tra i più grandi giocatori della storia del calcio, ma è altrettanto famoso per il suo tifo (torcida) e per i fantasiosi soprannomi che sono affibbiati ad ognuno dei suoi giocatori.

Ecco alcuni tra i grandi con il relativo nomignolo:

Leônidas da Silva, chiamato “il diamante negro”, Waldir Pereira detto “Didi” o “il principe etiope”, Niton Santos chiamato “l’enciclopedia del calcio”, Manuel Francisco dos Santos chiamato “Garrincha” o “il demonio dalle gambe storte”, Edwaldo Izídio Netto chiamato “Vavá” o “il leone della coppa”, Edson Arantes do Nascimento ovvero il grande “ Pelé” o “la perla nera”, Roberto Rivelino detto “la patata atomica”, Dario José dos Santos ossia “Dadá meraviglia”, Paulo Roberto Falcão detto “l’ottavo re di Roma”, Artur Antunes Coimbra chiamato “Zico il galletto di Quintino”, Sócrates Sampaio de Souza Oliveira detto “il tacco di Dio”, Romário da Souza Faría chamato “il cobra”, Vitor Fereira Rivaldo detto “E.T. l’extraterrestre”, infine Ronaldo Luís Nazário de Lima, il famoso “Fenomeno” e Ronaldo de Assis Moreira, “Bugs Bunny” detto anche “Ronaldinho Gaúcho”.

Tra gli altri primati il Brasile possiede anche il più grande stadio del mondo il Maracanã che nell’area di 146.452 metri quadri racchiude anche un’interessante museo sul calcio. Lo stadio venne inaugurato il 24 giugno 1950 per i mondiali. Quell’anno doveva però rimanere un brutto ricordo per il calcio brasiliano, dando vita a quello che fu definito in tutto il mondo come il Disastro del Maracanã, O Maracanaço.

Il 16 luglio, il grande stadio ospitò la finale Brasile Uruguay alla presenza di 176.000 spettatori (si disse anche che superavano i 200.000). Il risultato pareva già scritto, il Brasile aveva praticamente stravinto tutte le precedenti partite, le testate dei giornali erano già pronte, così come i festeggiamenti per le strade del Paese. Ai Brasiliani era sufficiente un pareggio per conquistare il titolo. La federazione uruguayana era così pessimista che dichiarò che a loro bastava evitare le brutte figure, perdere andava bene, ma con pochi gol di scarto.

Il Brasile passò in vantaggio dopo trenta minuti di gioco, ma gli uruguagi pareggiarono e, a undici minuti dalla fine, segnarono il gol della vittoria con Ghiggia. Il pubblico ammutolì con il cuore spezzato tanto che una decina di tifosi morì d’infarto, scoppiarono disordini e scontri nel Paese. I suicidi arrivarono ad una ventina, pare che fu anche proclamato il lutto nazionale per tre giorni. Molta gente aveva scommesso tutti i suoi averi sulla vittoria del Brasile e si rovinò. Anche sul campo successe di tutto, la Coppa sparì e gli organizzatori si dimenticarono persino di complimentarsi con i vincitori, fu Jules Rimet, a scendere per concludere la cerimonia.

L’unica consolazione per il Brasile fu il successo sportivo e finanziario della manifestazione che dette il via al calcio spettacolo.

Una curiosità, all’interno, sul campo da gioco, ci sono due orelhaos (cabine telefoniche) nei pressi delle due porte, chissà chi telefona da là ?


Capoeira

“Il negro nacque per essere libero. La capoeira nacque dal desiderio di libertà”.

Mestre Pastinha

Tra il 1550 e il 1850 vennero portati in Brasile, dai colonizzatori portoghesi, più di due milioni di africani per lavorare come schiavi nelle piantagioni. Intere tribù, provenienti per lo più da Congo e Angola, furono strappate dalle loro terre e alle loro famiglie e costrette ad attraversare l’oceano ammassati come animali sulle navi negriere.

Una volta raggiunto il Paese furono soprattutto introdotti nel Nordest del Paese,

dove si trovavano le maggiori concentrazioni di piantagioni e rinchiusi in alloggiamenti chiamati senzala. I senzala erano costituiti a volte da un grande edificio (Salvador de Bahia), altre volte da povere capanne, in ogni modo gli uomini erano costretti a condizioni disumane, legati con catene in spazi angusti, sporchi e con poco cibo. Per loro l’unica via d’uscita era costituita dalla fuga o dalla morte.

Questi individui non accettarono mai il trattamento disumano al quale erano sottoposti e la storia brasiliana è piena di episodi di ribellioni, lotte e resistenza dei neri. Quando riuscivano a fuggire gli schiavi s’installavano in luoghi nascosti nelle foreste e formavano delle vere e proprie comunità chiamate quilombos. La capoeira nacque come arma sia per riuscire a fuggire che per difendere i quilombos.

La lotta si presentava sotto le vesti mascherate di una danza, per ingannare i padroni che proibivano la pratica di qualsiasi forma di combattimento. Veniva effettuata con il suono, ben marcato e ritmato, di alcuni strumenti a percussione, come il berimbau, ed erano eseguite coreografie sincronizzate, con salti e piroette, che nascondevano colpi micidiali.

Il nome capoeira ha dubbie origini, alcuni diconono che derivi dal nome con cui era chiamata la cesta di vimini per portare le galline al mercato: gli schiavi l’appoggiavano per terra, dando inizio ai loro allenamenti, in attesa dell’apertura del mercato. Altri l’attribuiscono al nome Caà-puêra che in lingua tupi significa boscaglia tagliata, indicante i luoghi, all’interno della foresta, dove sorgevano i villaggi degli schiavi fuggitivi.

Nel XIX secolo la lotta subì vere e proprie repressioni al punto che chi la praticava veniva duramente punito e incarcerato. Addirittura dal 1920 al 1927, Pedrito (Pedro Azevedo Gordillo), un colonnello alla guida di uno squadrone a cavallo, soffocò con la violenza, qualsiasi pratica di capoeira e condomblè. Si dovette attendere il 1937 per ottenere la libertà di svolgimento e il riconoscimento della capoeira come sport.

Ora la capoeira è considerata sport ufficiale e dal 1973 ha una propria federazione.

La tipica formazione della capoeira è la Roda nella quale insegnanti e allievi uniti in cerchio cantano e suonano mentre due di loro, al centro, guidati dal suono del berimbau si sfidano nella danza guerriera. Non esistono limiti di età.

Gli strumenti che accompagnano la lotta e i canti sono tutti a percussione di origine africana: berimbau, pandeiro, atabaque, agôgô, ecc.

Esistono diversi tipi di capoeira che differiscono apparentemente tra loro solo per piccoli particolari. Le più famose sono comunque due: Capoeira Angola e Capoeira Regional.


Condomblé

Antico culto africano che venne portato in Brasile dagli schiavi era molto osteggiato, (come la capoeira) dai padroni portoghesi, che tentarono così di estirpare tutte le tradizioni dei neri per sopprimere le ribellioni.

In lingua yorubá (Africana) "candomblé" significa “festa”, “preghiera” o “danza” in onore degli dei.

I padroni impedirono la celebrazione di questi culti religiosi africani cercando di obbligare gli schiavi a professare la religione cattolica. Le tradizioni però non furono abbandonate e per aggirare l’ostacolo i neri iniziarono a creare parallelismi e connessioni tra i santi cristiani e gli dei a cui facevano sacrifici e riti speciali in occasione della corrispondente festività cristiana, fingendo di pregare secondo i canoni cristiani (sincretismo).

Il Condomblé ha come oggetto l’adorazione degli Orixâs (Dei), considerati come spiriti della Natura provenienti dai quattro elementi: terra/acqua/aria/fuoco.

Gli Orixá sono guerrieri, protettori della caccia, della maternità, re e regine dell’Africa; sono di sesso maschile, femminile o misto, ad esempio Oxumaré è per sei mesi maschio e per sei mesi femmina. Tutti sono venerati con iniziazioni segrete e con feste dedicate ad ognuno di essi.

I rituali, aperti al pubblico, ma non sempre ai turisti, sono officiati da un pai de santo (padre di santo) e da una mãe de santo (madre di santo) e sono svolti in una casa de santo o terriero (zona di culto circoscritta), durante la cerimonia gli adepti parlano in lingua yoruba.

Il terreiro rappresenta una ricostruzione di un villaggio africano con al centro un palo sacro che simboleggia l’unione tra il cielo e la terra. Per il sincretismo a volte si trova anche la Croce cristiana. All’interno del terreiro sono inoltre visibili fontane per la purificazione, alberi sacri e piccole riproduzioni di case con all’interno la rappresentazione o il simbolo degli orixâs. Al centro si trova il salone delle danze, dove gli uomini, durante la cerimonia, si posizionano tutti da un lato e le donne dall’altro. Ad officiare al culto sono più spesso donne, ma non mancano gli uomini; i figli del santo e gli adepti danzano con vestiti e costumi caratteristici al ritmo frenetico dei tamburi. La cerimonia è divisa in sei momenti: purificazione, discesa degli spiriti, danza degli spiriti, congedo degli spiriti, banchetto sacro e consultazione con le conchiglie.

I balli e il rituale che proseguono fino al mattino, sono estenuanti e durante la festa i danzatori entrano in trance incarnando gli spiriti degli Orixâs.

Se decidete di partecipare ad una cerimonia fate in modo di avere un mezzo per tornare in albergo o mettetevi d’accordo con un taxi.

Bisogna ricordarsi di adottare un abbigliamento rispettoso: pantaloni lunghi per gli uomini e gambe coperte per le donne. Il bianco è il colore migliore da usare perché onora tutti gli orixâs.

Tutti coloro che praticano e credono nel Condomblé hanno fin dalla nascita e per tutta la vita un santo che li protegge. Questo particolare orixá viene identificato dal pai o dalla mãe de santo lanciando i búzios (conchiglie) nel rituale chiamato jogo dos búzios (lancio delle conchiglie), con il lancio viene anche predetta la sorte e il futuro della persona.

Ogni Orixa ha il suo corrispondente nella Chiesa Cattolica e particolari caratteristiche che lo contraddistinguono dagli altri come il giorno della settimana, il costume e il colore. Domenica è il giorno di tutti gli Orixâs.


Carnevale

Il Carnevale sbarcò in Brasile, nel 1641 e si sviluppò in particolare a Rio de Janeiro, con gli immigrati Portoghesi. Veniva celebrato nel periodo precedente la Quaresima con il nome di Festa degli Entrudos dalla parola portoghese, derivante dal latino, entrudo che significa entrata/inizio, indicante quindi l’inizio della celebrazione della Quaresima. I festeggiamenti erano una fusione tra il tradizionale Carnevale lusitano e l’uso delle maschere italiane, fu solo all’inizio del XX secolo che furono introdotti elementi africani che gli diedero impulso e originalità. Tanto in Portogallo così come in Brasile, il carnevale non era per nulla simile ai riti dell’Italia rinascimentale, ma era una festa di strada addirittura violenta dove venivano commessi abusi e cattiverie. I padroni gettavano sugli schiavi secchiate di acqua sporca e puzzolente mentre questi erano aizzati a gettarsi avanzi di cucina, uova e farina. Con il tempo il Carnevale si civilizzò e l’usanza di lanciare queste sostanze venne sostituita con i limoes de cheiro, palline di cera riempite con acqua profumata. Per quanto riguarda la musica, ancora non c’erano ritmi o melodie che rappresentassero il Carnevale, lo sviluppo musicale si ebbe nella prima metà del XIX secolo con l’introduzione dei balli in maschera tipici dell’Europa. La prima musica specifica del Carnevale fu ô abre alas composta da Chiquinha Gonzaga nel 1899. L’uso delle maschere si ebbe dal 1834 e fu copiato dalla Francia dove si simulavano i musi degli animali con smorfie e caricature fatte con cera o carta. Le feste e i balli in maschera erano organizzati per i ricchi in case o club privati con orchestre che suonavano brani alla moda mentre i poveri festeggiavano per strada o nelle loro associazioni. Le prime sfilate di carri si tennero a São Paulo e ricalcavano le tradizioni europee. A Rio, a causa delle repressioni governative, il popolo si vide costretto a disciplinare le proprie sfilate per strada, utilizzando lo stesso sistema dei cortei religiosi. A seguito di questi provvedimenti iniziarono ad apparire i blocos e i cordoes, gruppi che avrebbero dato vita alle scuole di samba che sfilarono per la prima volta nel 1932 e che crearono il rituale riconosciuto nel mondo. Tutto il popolo partecipa al Carnevale senza distinzioni di razza o religione e dimenticando completamente i problemi per tutta la durata della festa.

Per chi non riesce ad essere in Brasile in questi periodi in ogni Stato brasiliano si svolge un Carnevale fuori stagione, chiamato Micareta. Il primo festeggiamento avvenne nel 1937, a Feira de Santana dove fu fatta la festa al di fuori dei tradizionali giorni a causa di un forte maltempo. L’idea ebbe un tale successo nell’animo festaiolo dei brasiliani che in tutti gli Stati si inventò un Carnevale fuori epoca. Uno dei principali motivi del successo della festa è di carattere economico: infatti i costi per il noleggio del materiale e il compenso agli artisti fuori stagione è molto più basso e permette la partecipazione di grandi artisti, che di solito venivano ingaggiati solo nei Carnevali più famosi.

A noi è capitato di assistere al Micareta a metà dicembre nella citta di São Raimundo Nonato e a Natal, i primi di dicembre, partecipando ai concerti di Ivete Sangalo e di altre star della musica brasiliana.


Cachaça

La cachaça è una bevanda a base di canna da zucchero, da non confondere con rum, pinga o aguardente (vedi box a Paraty). La differenza con il rum consiste nel fatto che il rum viene distillato a 90 gradi mentre la cachaça viene distillata a 75 gradi. Per questa ragione questo liquore conserva all’interno più impurità quindi il sapore risulta più aromatico rispetto al rum. Dopo la distillazione, la bevanda, non viene invecchiata (come la pinga o l’aguardente), ma viene fatta riposare in botti di legno.

La prima acqua liquorosa o distillato ha origini antichissime, se ne parla già nel Trattato di Scienza di Plinio nel 23 D.C. Il materiale usato per la distillazione variava di Stato in Stato così come i procedimenti. In Italia veniva usata l’uva, in Germania le ciliege, in Asia il riso. La canna da zucchero arrivò dal Sud dell’Asia e venne importata in Brasile dai Portoghesi. Presso un engenho della Capitania di São Vincente nel 1523 venne infine scoperto il vino di canna da zucchero che dopo vari processi e lavorazioni divenne infine la cachaça.

Il processo di lavorazione pare che fu modificato e migliorato grazie all’alambicco portato da un immigrante svizzero, Erasmus Scheltz che produsse la prima cachaça nel 1543, presso Santos (SP).








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